Cinque errori da evitare nel valutare l’accesso agli incentivi previsti dal piano Transizione 5.0
Con la pubblicazione della circolare operativa 16 agosto 2024 realizzata congiuntamente dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy e dal GSE si conclude il percorso normativo che rende finalmente operativo il piano Transizione 5.0: ora le imprese hanno a disposizione tutti gli strumenti per valutare se i progetti di innovazione che hanno intenzione di avviare (o che hanno avviato dall’inizio del 2024) hanno le carte in regola per accedere ai nuovi incentivi.
L’iter normativo è stato certamente lungo, abbracciando nell’insieme un arco di ben 167 giorni, dal 2 marzo 2024 (data di pubblicazione del decreto-legge) al 16 agosto, data della pubblicazione della circolare contenente le linee guida. Va tuttavia sottolineato che mai come questa volta il Governo ha dovuto affrontare una serie di difficoltà non comuni a causa sostanzialmente di due fattori: i vincoli legati al finanziamento della misura tramite le risorse del RePower EU integrate nel PNRR, che hanno imposto al Ministero di condividere con la Commissione Europea alcune importanti scelte, come ad esempio le eccezioni al principio DNSH, attraverso una lunga serie di interlocuzioni; dall’altra parte c’era l’ampiezza di una materia – quella della doppia transizione digitale e green – che mette insieme aspetti prettamente tecnologici con tematiche prettamente energetiche. Questo ha spinto il Ministero a scegliere un “partner” competente sulla materia energetica, il Gestore dei Servizi Energetici.
Perché la collaborazione tra Mimit e GSE rappresenta un vantaggio per le imprese
Con questa collaborazione – e qui c’è un elemento di novità rilevante – il Ministero non si è limitato a delegare al GSE la gestione operativa della piattaforma, ma lo ha coinvolto nella stesura delle regole che governano la misura e gli ha assegnato un ruolo di primissimo piano nella fase dei controlli documentali e di merito.
La scelta del Mimit avrà delle conseguenze importanti anche nella gestione del dopo-incentivo. La delega dei controlli a un soggetto dotato di competenze tecniche segna infatti un cambio di passo rispetto ad altre misure in cui l’Agenzia delle Entrate si è resa protagonista di queste valutazioni merito, spesso a discapito del contribuente. L’effetto della nuova linea, oltre a una più serena valutazione tecnica dei progetti, dovrebbe essere quindi anche una riduzione del contenzioso tributario nei prossimi anni.
I cinque errori da evitare
Passiamo ora in rassegna cinque errori da non commettere per evitare di vanificare (o rendere meno conveniente) la fruizione degli incentivi previsti dal piano Transizione 5.0.
1 – Sottovalutare (o sopravvalutare) la complessità dell’incentivo
Il primo errore da non commettere nel determinare se avvalersi o meno dell’incentivo è valutare in maniera non corretta le caratteristiche della misura.
Da un lato esiste il concreto rischio di sottovalutare la complessità della misura: Transizione 5.0 non è né un semplice “incentivo per il fotovoltaico” né una versione potenziata del piano Transizione 4.0: è un’agevolazione che punta a premiare quegli investimenti in tecnologie digitali in grado di abilitare un significativo risparmio nell’uso dell’energia. È dunque concettualmente errato pensare di sfruttarlo per avere uno “sconto” sui pannelli fotovoltaici, considerando l’investimento in beni strumentali come un semplice “trick” per abilitarlo. Allo stesso modo chi dovesse pensare semplicemente di fruire di un’aliquota maggiorata rispetto al semplice investimento 4.0 commetterebbe l’errore di sottovalutare il necessario apporto che l’investimento deve offrire alla riduzione dei consumi del processo interessato dall’investimento, se non dell’intera struttura produttiva. Il progetto di innovazione va invece concepito sin dalla fase iniziale come un unicum che punti sui benefici della digitalizzazione in termini di riduzione dei costi e aumento della flessibilità produttiva e che, al contempo, renda i processi più efficienti in maniera dimostrabile.
Allo stesso modo è fondamentale non abbattersi davanti all’oggettiva maggiore complessità della procedura. Se si ha in mente un investimento con le carte in regola per fornire i risultati richiesti dalla normativa, è sufficiente rivolgersi a un soggetto titolato – EGE, ESCo, ingegnere o perito che sia – per ricevere il supporto necessario ad affrontare con serenità il percorso burocratico. È però fondamentale scegliere figure di comprovata esperienza e competenza proprio per avere la garanzia che tutte le fasi siano gestite nella maniera più corretta. Ricordiamo a questo proposito che la normativa consente alle PMI di aggiungere al credito d’imposta spettante fino a 10.000 euro proprio a supporto dei costi sostenuti per le consulenze tecniche necessarie alle diverse certificazioni tecniche e 5.000 euro per la certificazione contabile delle imprese non tenute per legge alla revisione.
2 – Progettare l’investimento in maniera approssimativa
La normativa consente naturalmente di operare delle modifiche al progetto in corso d’opera. Ci sono però dei paletti significativi. I due più importanti sono che, una volta consegnata la comunicazione preventiva, non possono essere inseriti nel progetto ulteriori beni 4.0 che aumentino il credito d’imposta spettante e non saranno riconosciuti incrementi di efficienza energetica superiori rispetto a quelli preventivati.
Ecco perché è fondamentale che il progetto sia concepito in modo dettagliato e completo sin dalle prime fasi, in modo da garantirsi in primis che i beni oggetto dell’investimento rientrino effettivamente nel montante su cui sarà calcolato il credito d’imposta e in secondo luogo che la riduzione dei consumi energetici conseguibile sia in linea con quanto preventivato, dal momento che da questo dipende il riconoscimento di una determinata aliquota.
Va poi ricordato che entro 30 giorni dalla ricezione della comunicazione dell’importo del credito di imposta prenotato occorre presentare una comunicazione contenente le fatture relative agli acconti versati ai fornitori di tutti i beni materiali oggetto d’investimento in misura pari ad almeno il 20% del totale dovuto, inclusi gli importi relativi agli investimenti trainati nelle rinnovabili. Va da sé che in fase di presentazione del progetto occorre avere di fatto già chiara non soltanto la tipologia dell’investimento, ma anche gli specifici beni che saranno acquistati.
3 – Delimitare male il processo interessato
Il risparmio energetico conseguito deve essere riferito a un processo interessato o alla struttura produttiva. La circolare operativa offre diversi esempi che chiariscono alle imprese come orientarsi nella determinazione del perimetro di riferimento. Tuttavia la definizione del processo interessato deve corrispondere a precise (benché piuttosto ampie) definizioni fornite dalla normativa di riferimento e un eventuale errore in questa fase potrebbe vanificare la validità dell’intero progetto o – peggio ancora – esporre l’impresa a sanzioni in seguito ai controlli da parte del GSE.
Ancora una volta quindi il consiglio è di rivolgersi a dei consulenti dotati di quelle competenze specialistiche che aiutino le imprese a fare la scelta più corretta sul piano normativo e più conveniente nell’ottica della determinazione del beneficio fiscale conseguibile.
4 – Ignorare i benefici conseguibili grazie agli investimenti trainati
Se il progetto di innovazione ha le carte in regola per consentire all’azienda di accedere all’incentivo, vale la pena prendere in considerazione anche eventuali investimenti in energie rinnovabili e attività di formazione che – lo ricordiamo – beneficeranno della stessa aliquota ottenuta sui beni strumentali.
Vale la pena evidenziare ancora una volta che gli investimenti in rinnovabili e formazione sono considerati investimenti “trainati”, cioè possibili solo se gli investimenti in beni 4.0 consentono di ottenere il livello minimo di risparmio energetico richiesto dalla normativa.
Per quanto riguarda le rinnovabili, un trattamento di particolare favore è riservato a chi decida di investire in pannelli fotovoltaici ad elevata efficienza, premiati in alcuni casi con aliquote ancora più favorevoli. Occorre tuttavia tenere ben presenti i requisiti imposti dalla normativa, in particolar modo la provenienza dei moduli e/o delle celle dall’Unione Europea, le caratteristiche prestazionali degli stessi e la conformità a una serie di norme tecniche.
Occorrerà poi effettuare il calcolo del corretto dimensionamento degli impianti che, naturalmente, consigliamo di affidare a un consulente specializzato.
Per quanto riguarda la formazione, bisogna tenere a mente non soltanto il vincolo delle 12 ore minime, ma anche quello relativo alle “materie” obbligatorie. La normativa infatti dispone che almeno 4 ore devono essere dedicate a uno di questi quattro ambiti sulla parte energia:
- Integrazione di politiche energetiche volte alla sostenibilità all’interno della strategia aziendale
- Tecnologie e sistemi per la gestione efficace dell’energia
- Analisi tecnico-economiche per il consumo energetico, l’efficienza energetica e il risparmio energetico
- Impiantistica e fonti rinnovabili (produzione e stoccaggio energie da fonti rinnovabili)
e un secondo modulo formativo, sempre da almeno 4 ore, deve essere dedicato a una di queste altre tematiche sul fronte della transizione digitale
- Integrazione digitale dei processi aziendali
- Cybersecurity
- Business data analyitcs
- Intelligenza artificiale e Machine learning.
Uno dei vantaggi rispetto ai vecchi incentivi sulla formazione è che potranno accedere alla formazione anche i titolari di impresa e i soci lavoratori.
5 – Non prepararsi per i controlli
Oltre alla verifica puntuale sulla documentazione prodotta dalle aziende in sede di presentazione delle tre comunicazioni – preventiva, intermedia e consuntiva – il GSE potrà effettuare già a partire dalla fase ex ante delle verifiche a campione che entrano nel merito del progetto di innovazione presentato per accertare la veridicità e la congruenza delle informazioni fornite.
Per questo è importantissimo che la relazione tecnica prodotta in fase di certificazione sia esaustiva nel descrivere gli interventi effettuati, i vettori energetici impiegati, le caratteristiche degli impianti finalizzati all’autoproduzione di energia, i prodotti e i servizi realizzati, i volumi produttivi e che fornisca anche uno schema a blocchi dei processi produttivi.
Occorrerà dettagliare poi anche la metodologia adottata per misurare le prestazioni energetiche, gli indicatori di prestazione energetica scelti e l’algoritmo per il calcolo dei risparmi e il dimensionamento dell’impianto nel caso delle rinnovabili.
È quindi necessario conservare in maniera organizzata tutta la documentazione possibile riguardante questi aspetti, anche al fine di velocizzare l’eventuale procedura di accertamento da parte del GSE.
Va poi tenuto presente che la fase dei controlli si estende anche oltre il completamento dell’investimento: la normativa dispone infatti che i requisiti che consentono all’azienda di accedere all’incentivo siano mantenuti fino al quinto anno successivo al completamento del progetto.
Per evitare problemi è fondamentale quindi produrre periodicamente documentazioni complete e dettagliate inerenti il mantenimento dell’interconnessione e del risparmio energetico conseguito.