Transizione 5.0, una breve ricostruzione per comprendere vantaggi e complessità del piano

Manca (davvero) poco alla piena operatività del piano Transizione 5.0, una delle misure più attese dalle imprese italiane. Come sappiamo, si tratta di un incentivo che prevede crediti di imposta importanti, con aliquote fino al 45%, a sostegno degli investimenti in beni strumentali 4.0 che consentano di raggiungere significativi risultati in termini di riduzione dei consumi energetici. E che consente, una volta “sbloccato” l’accesso all’incentivo grazie a questi investimenti, di ricevere un contributo, con le stesse aliquote, anche sugli investimenti in fonti rinnovabili autoprodotte per autoconsumo e in formazione sulle tematiche digitali e green.

A fronte di una importante premialità, il piano presenta tuttavia numerosi vincoli e una complessità procedurale da seguire con attenzione.

 

LA GENESI DEL PIANO

Per comprendere perché il piano abbia assunto questa forma occorre ricapitolare le fasi storiche che hanno portato alla sua nascita. Questa ricostruzione deve necessariamente partire dalla fine del 2022. In vista del significativo ridimensionamento che il Piano Transizione 4.0 avrebbe subito a gennaio 2023, il ministro Urso, insediatosi da poche settimane, inizia a parlare della necessità di rafforzare il piano per evitare il dimezzamento delle aliquote, spingendosi in chiusura d’anno ad annunciare una “manovra di primavera“. L’idea era di lavorare su un avanzo di fondi del PNRR, che si stimava potessero arrivare a circa 4 miliardi di euro.

Tuttavia, come è emerso nei mesi successivi, non solo quei fondi non erano avanzati, ma erano stati addirittura utilizzati in misura maggiore del previsto.

Una volta realizzato che non c’erano risorse disponibili per il rafforzamento del Piano Transizione 4.0, e che quindi il ridimensionamento era inevitabile, il Ministero inizia a cercare altrove delle possibili opportunità di finanziamento. Cominciò così quella che abbiamo conosciuto nel corso del tempo come “l’interlocuzione” tra il ministro Fitto e la Commissione Europea. Questa lunga fase di negoziazione arriva a un primo punto di svolta nel maggio del 2023, quando viene identificato, come fonte di finanziamento utilizzabile, il programma REPowerEU. Questo piano, come probabilmente tutti ricordiamo, è stato messo a punto dalla Commissione Europea a seguito della crisi tra Russia e Ucraina, con l’obiettivo principale di rendere l’Europa meno dipendente dalle risorse energetiche esterne. L’obiettivo dei fondi stanziati nel REPowerEU è quindi la riduzione dei consumi energetici e la promozione della produzione di energia in Europa. Questo elemento è di fondamentale importanza perché avrà delle conseguenze dirette sul nuovo piano di incentivi.

La prima volta che vediamo comparire il nome “Transizione 5.0” per il nuovo piano è a giugno del 2023. A luglio il governo propone alla Commissione Europea una serie di modifiche al PNRR, che includono anche l’integrazione delle risorse del programma REPowerEU.

A novembre del 2023 arriva l’accordo tra il governo e la Commissione e a dicembre c’è anche l’ok del Consiglio Europeo. Ancora un paio di mesi e a inizio marzo 2024 viene emanato il famoso decreto 19 del 2 marzo, che ristruttura il PNRR prevedendo l’introduzione di una nuova missione, la Missione 7, nell’ambito della quale viene collocato il Piano Transizione 5.0.

Nel decreto il Governo si auto-assegna un termine di 30 giorni per emanare il decreto attuativo. Ma la complessità tecnica è elevata e la prima bozza del decreto attuativo viene diffusa solo a giugno: una bozza – tra l’altro – destinata a cambiare in maniera importante fino ad approdare alla sua versione definitiva di luglio 2024 che è attualmente al vaglio della Corte dei conti.

Una volta che avremo la registrazione di questo dispositivo da parte della Corte dei conti, occorrerà attendere ancora un decreto direttoriale che disporrà l’apertura della piattaforma del GSE per il deposito delle domande e una circolare che detterà le linee guida. Questa circolare sarà divisa in due parti: una prima parte farà una sorta di sintesi di tutta la documentazione legata al Piano Transizione 4.0 (circolari, FAQ ecc.); la seconda parte, curata dal GSE, sarà invece focalizzata sugli aspetti di dettaglio della Transizione 5.0.

Nel frattempo, sono state apportate alcune modifiche anche alla norma primaria sia nella legge di conversione del Decreto 19 sia in quella relativa al Decreto Superbonus (il Decreto 39 del 29 marzo) sia, da ultimo, in quella relativa al Decreto Coesione.

 

I VINCOLI DEL PIANO

Come abbiamo visto la genesi del Piano Transizione 5.0 è stata complessa e articolata, segnata da numerose fasi di negoziazione e revisione. Ma cosa dire del risultato di questo percorso?

La prima cosa da osservare è che l’idea alla base del Piano Transizione 5.0 è senza dubbio virtuosa: utilizzare il digitale come abilitatore della sostenibilità. Questa concezione è supportata non solo dagli studi accademici, ma anche dall’esperienza pratica di molte aziende. Tuttavia, una forzatura, se così possiamo definirla, è stata quella di immaginare un nesso causa-effetto diretto tra l’investimento nei beni strumentali previste per il Piano Transizione 4.0 e un immediato risparmio energetico. Una soluzione più coerente con l’obiettivo di riduzione dei consumi avrebbe potuto prevedere la creazione di un apposito allegato che includesse i dispositivi maggiormente responsabili dei consumi energetici delle industrie, come motori, pompe e compressori.

A questo si aggiunge un secondo piccolo paradosso: l’esclusione dei settori più energivori (inizialmente completa, poi parzialmente limitata a seguito di nuove interlocuzioni con la Commissione Europea) da una misura che promuove l’efficientamento, a causa del regolamento che prevede il principio di “non arrecare danno significativo” (DNSH) agli obiettivi ambientali.

In sostanza, siamo di fronte un piano che punta a ridurre le emissioni, ma che si può applicare, non così agevolmente come ci si sarebbe atteso, ai settori energivori che emettono più gas climalteranti in atmosfera.

Come anticipato, il Governo ha cercato di correre ai ripari su questo fronte. L’applicazione del principio DNSH, essendo prevista da un regolamento europeo, non si poteva evitare. Ma, complici le pressioni dei rappresentanti degli industriali, il Governo è riuscito ad arrivare a un compromesso con la Commissione Europea per ammorbidire la rigidità nell’applicazione di questo principio.

Un altro fattore da evidenziare è che, contrariamente a quanto accaduto con il periodo del Piano Transizione 4.0 finanziato nell’ambito del PNRR (gli anni 2021-2022), nel caso del Transizione 5.0 non è stato creato un fondo complementare. Questo fondo sarebbe stato utile, come lo è stato per il 4.0, proprio per gestire tutte quelle situazioni in cui i vincoli della disciplina europea non permettono di utilizzare i fondi europei.

Il Piano Transizione 5.0 dunque deve fare i conti con l’obiettivo in termini di riduzione dei consumi energetici posto dal programma REPowerEU e con l’integrazione all’interno del PNRR, che porta a una gestione piuttosto rigida sia degli obiettivi, sia delle tempistiche, sia delle modalità con cui il governo dovrà rendicontare i risultati ottenuti. Questo – diciamo per inciso – è il motivo per cui non ci sarà una proroga del Piano Transizione 5.0 oltre il termine del 31 dicembre 2025, a meno che non intervenga una proroga più generale sull’intero PNRR.

 

LE APERTURE DEL DECRETO ATTUATIVO

Ci troviamo quindi davanti a un piano che, per le ragioni sopra esposte, presenta una certa complessità di carattere tecnico e procedurale e tempi piuttosto ristretti.

Dal punto di vista del Governo, la sfida era mettere a disposizione delle imprese 6,3 miliardi di euro evitando due rischi: un incentivo troppo “aperto”, che vedrebbe tutte le risorse esaurirsi al “day 1”; e un incentivo troppo “chiuso”, che vedrebbe utilizzate solo una parte delle risorse, perdendo così un’occasione importante per supportare l’innovazione digitale e green delle imprese italiane.

Non stupiscono quindi, in questo senso, le continue modifiche al decreto attuativo che, nell’ultimo periodo – forse anche per compensare i tempi sempre più ristretti e qualche mal di pancia da parte degli industriali – hanno sicuramente lavorato nella direzione di una fruizione più diffusa.

In questa chiave di lettura si possono leggere alcune definizioni che si temeva potessero essere parecchio più stringenti, come ad esempio quella del processo interessato all’investimento o quella dello scenario controfattuale. O l’aumento dei valori massimi previsti per l’acquisto dei pannelli fotovoltaici. E in tal senso vanno anche alcune modifiche alla norma primaria, come la possibilità di collocare l’impianto di produzione di energia rinnovabile anche a distanza.

Per sapere se il governo sia riuscito a trovare il giusto punto di equilibrio in questa complessa operazione di alchimia burocratica dovremo guardare ai prossimi due mesi: con l’apertura della piattaforma scopriremo infatti se e soprattutto quanto le imprese riusciranno ad utilizzare al meglio l’incentivo più atteso del 2024.